"Ormai tutti avranno capito che Cocai ed io comunichiamo abbondantemente, e questa è una bella stranezza, in tempi d'incomunicabilità. Ossia lui è un cane che non si limita a dire, come fanno press'a poco tutti i cani: "ho fame", "ho sete", "voglio andare a spasso", oppure "non ho per niente voglia di farmi lavare", ma s'impegna in progressioni conversative ormai abbastanza in disuso anche tra cristiani. A ciò, peraltro, siamo arrivati a grado a grado, e direi soprattutto per causa mia, gicché fui proprio io (ma le sere d'inverno sulla rupe sono lunghe), che cominciai a fargli dei ragionamenti, fuorviato in parte da una vistosa somiglianza che esiste tra il cane, specie nei momenti in cui mi disapprova e non si cura di nasconderlo, e una mia zia defunta, la quale ebbe grande e non molto buona influenza sulla mia educazione, che è quanto dire sulla mia infelicità.[...]Questo, lo capisco anche io, lascia affatto senza spiegazione la somiglianza del cane con la zia (non tutte le cose si lasciano spiegare a questo mondo) però getta sufficiente luce sull'aggressività di certe sue domande, e più ancora sulla petulanza con la quale si ostina a chiedermi il perché e il percome delle cose, specie di quelle cose a proposito delle quali non è tanto semplice stabilire il perché e il percome. "Che ne pensi degli ultimi sviluppi della crisi cecoslovacca", è capace di chiedermi brusco alle sei e tre quarti del mattino, quando io, non ancora sveglio, sto ben lontano dalla Cecoslovacchia."
Giuseppe Berto: Colloqui col cane
Marsilio Editore, Venezia - 1986
pag. 16
catalogazione: C S2 P7