"Le tecniche della critica furono a lungo praticate, almeno in modo continuativo, quasi esclusivamente da un pugno di eruditi, di esegeti e di curiosi. Gli scrittori dediti a comporre opere storiche di un certo respiro non si curavano affatto di rendersi familiari quelle ricette di laboratorio, a loro parere troppo minuziose; e a malapena consentivano a tener conto dei loro risultati. Ora, secondo il detto di Humboldt, non è mai bene che i chimici temano di 'bagnarsi le mani'. Per la storia, il pericolo di un simile scisma tra la preparazione e la messa in opera è duplice.
Anzitutto, colpisce duramente i grandi tentativi d'interpretazione. Questi non solo vengono meno, in tal modo, al primo dovere della veracità pazientemente ricercata; ma privati inoltre di quel perpetuo rinnovamento, di quella sorpresa sempre rinascente, che solo la lotta con il documento può procurare, non riescono a sfuggire a un'oscillazione incessante tra pochi temi stereotipi imposti dalla routine. Il lavoro tecnico ne soffre però altrettanto. Non più guidato dall'alto, rischia di appigliarsi indefinitamente a problemi insignificanti o mal posti. Non v'è peggior sciupio di quello dell'erudizione, quando gira a vuoto, né superbia peggio giustificata dell'orgoglio dello strumento, che si consideri fine a se stesso."
Marc Bloch: Apologia della Storia o Mestiere di storico
Giulio Einaudi editore, Torino - 1981
traduzione di Carlo Pischedda
pagg. 85-86
catalogazione: libreria di fianco al divano
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