(Ilan) le pareva sempre meravigliato di aver ottenuto un simile privilegio, la pienezza della vita, e ricordò di come gli piacesse, quando i bambini erano piccoli, e loro abitavano ancora a Zur Hadassa, nella casa casa che avevano comprato da Avran, stendere con lei il bucato, di sera, l'ultima mansione domestica alla fine di una giornata lunga ed estenuante. Insieme portavano la grossa tinozza in giardino, di fronte ai campi bui e alla vallata che li separava dal villaggio arabo di Chussan. Il grande albero di fico e la siepe di grevillea stormivano sommessi, avevano una loro vita, ricca e misteriosa, e i fili del bucato si riempivano di decine di minuscoli capi di abbigliamento, simili a segni di una scrittura cuneiforme: calzine, babbucce, magliette, tutine, salopette colorate. Qualche abitante di Chussan era forse disceso nella valle quando c'era ancora luce e li stava osservando? Forse stava prendendo la mira col fucile? pensava Orah di tanto in tanto, con un brivido alla schiena. Esisteva una qualche immunità generica, umana, per coloro che stendevano il bucato? Soprattutto quel tipo di bucato?"
David Grossman: A un cerbiatto somiglia il mio amore
Mondadori, Milano - 2008
traduzione di Alessandra Shomroni
pag. 121
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