"Per raggiungere il gusto compiuto del tacchino farcito i Malaspina impiegarono quattro generazioni, nelle quali l'abitudine di sposarsi e risposarsi tra loro, se non portò un tocco di originalità negli inveterati valori - posizione prestigio famiglia -, immise una folata di innovazioni se non altro nella pancia disossata del tacchino. Al principio del suo iter il tacchino, se pur farcito, non era ancora disossato; anzi più che farcito era -come dire? - incinto di un piccioncino in umido lasciato a metà cottura e poggiato su un nido di salsicce e formaggio pecorino. Farcito o gravido che fosse, veniva arrostito con tutte le ossa e arrivava in tavola con le cosce tese, le ali aperte e brustolite, la montatura del codrione tronfio delle penne a raggiera, le zampe mancanti dei soli artigli: una concreta animalità con la restante grazia - e meno male - di essere privo dell'orrenda testa che con tutta evidenza l'avrebbe fatto somigliare al nonno. "
Alda Bruno: Tacchino farcito
Sellerio, Palermo - 2008
pag. 11
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