"C'era la cugina Iris di Philadelphia. Infermiera. La cugina Isabel di Des Moines. Proprietaria di un negozio di fiori. La cugina Flora di Winnipeg, maestra; la cugina Winifred di Edmonton, ragioniera. Le signorine, le chiamavano. Zitelle era troppo restrittivo, non sarebbe bastato a definirle. Avevano petti poderosi e allarmanti - una massa unica, corazzata - e pance e didietro pieni e imbustati come quelli di ogni donna sposata. Al tempo pareva che, per un corpo femminile, dotato di una qualunque ambizione esistenziale, la tendenza giusta fosse lievitare e rimpannucciarsi fino al raggiungimento di una buona taglia cinquanta; poi, a seconda delle mire e del ceto, quel corpo poteva afflosciarsi in un budino tremulo e foderarsi di vestiti pallidi in tessuto fantasia e grembiuli umidi, o lasciarsi inguainare in stampi le cui curve immobili e le cui linee audaci non avevano alcuna pretesa di sensualità, e parecchie invece in fatto di diritti e di potere.
Mia madre e le sue cugine appartenevano alla seconda delle due categorie. Portavano busti allacciati di lato da decine di ganci e occhielli, calze che sibilavano ogni volta che, accavallando le gambe, facevano frizione, abiti da pomeriggio in jersey di seta (quelli di mia madre, smessi da una delle cugine), cipria (tinta rachel), fard compatto, acqua di colonia, pettini in tartaruga o imitazione-tartaruga tra i capelli. Senza questo armamentario non erano nemmeno immaginabili, se non quando si fasciavano fino al mento in vestaglie di raso imbottito. Per mia madre non era facile mantenere quello stile: ci voleva ingegno, perseveranza, disciplina ferrea. Per il plauso di chi? Suo."
Alice Munro: Le lune di Giove
Einaudi, Torino - 2008
traduzione di Susanna Basso
pag. 3
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