"Quimet disse che il bambino aveva bisogno di aria e di moto: basta con la terrazza e basta con la veranda e basta col giardinetto della nonna. Fece una specie di culla di legno e la fissò alla moto. Afferrava il bambino, ancora di pochi mesi, come fosse un pacchetto, lo legava alla culla e si portava dietro il biberon. Quando li vedevo andar via pensavo sempre che non li avrei rivisti. La signora Enriqueta mi diceva che Quimet era poco espansivo, ma che andava matto per la creatura. Che quel che faceva non si era mai visto. E io, appena partivano, andavo ad aprire il balcone sulla strada per sentire subito i brum brum della moto quando tornavano. Quimet tirava fuori dalla culla il bambino, quasi sempre addormentato, saliva i gradini della scala a quattro a quattro e me lo consegnava, tieni, è pieno di salute e di vento. Dormirà otto giorni di seguito senza svegliarsi."
Mercè Rodoreda: La piazza del diamante
La Nuova Frontiera, Roma - 2009
traduzione di Giuseppe Tavani
pag. 80
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