"Si era tolto i calzoni e stava infilandosi quelli del vestito, quando notò sul fianco una piccola escrescenza ovale di carne più scura della pelle circostante, che si stava lievemente squamando. Provò una nausea tremenda e fu costretto a inghiottire una modica quantità di vomito risalitogli al fondo della bocca.
Cancro.
Non si era mai sentito così da quando la Fireball di John Zinewski aveva scuffiato, qualche anno prima, e lui si era trovato in trappola sott'acqua, con la caviglia annodata nel cappio di una cima. Però lì era durato al massimo tre o quattro secondi. E stavolta non c'era nessuno ad aiutarlo a raddrizzare la barca.
Avrebbe dovuto suicidarsi.
Non era un pensiero confortante, ma era una cosa che poteva fare, e questo gli dava l'idea di un minimo controllo sulla situazione.
L'unico problema era il come.
Saltare da un edificio alto era una prospettiva spaventosa: spostare il proprio baricentro in fuori, sopra il bordo del parapetto, con la possibilità di cambiare idea a metà caduta. E l'ultima cosa di cui aveva bisogno ora era altra paura.
Per impiccarsi ci voleva un equipaggiamento, e una pistola non la possedeva.
Se avesse bevuto abbastanza whisky sarebbe riuscito a raccogliere il coraggio necessario per andare a schiantarsi in automobile.
Sulla A 16, da questa parte di Stamford, c'era un grosso muro di pietra. Poteva andargli contro a centocinquanta all'ora senza nessun problema. Ma se i nervi lo avessero tradito? Se fosse stato troppo sbronzo per controllare l'auto? E se qualcuno fosse sbucato dal viale? Se avesse ucciso altre persone, e lui fosse rimasto paralizzato e fosse morto di cancro in prigione sulla sedia a rotelle?"
Mark Haddon: Una cosa da nulla
Einaudi, Torino - 2006
traduzione di Massimo Bocchiola
pag. 4
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