"Un giorno Apollo, vedendo Eros che tendeva l'arco, si prese gioco di lui: 'Che fai, divino fanciullo, con un'arma tanto possente? Questi sono carichi adatti ai miei omeri. Tu accontentati di accendere le passioni con la torcia e non attribuirti quel che mi spetta.'.
'Febo,' gli rispose il fanciullo 'le tue saette trafiggono uomini e animali, ma le mie trafiggono te', e battendo le ali volò sul Parnaso architettando una vendetta. Cavò dal turcasso due dardi, l'uno d'oro e dalla punta acuminata che accendeva la passione amorosa, l'altro di piombo e spuntato, che la impediva. Con il primo ferì Apollo trapassandolo fin nelle midolla, con il secondo trafisse la ninfa Dafne, figlia di Peneo, un fiume della Tessaglia, figlio a sua volta di Oceano e Teti. La fanciulla, seguendo l'esempio della casta Diana, rifiutava tutti i pretendenti che la chiedevano in sposa perché preferiva vivere libera correndo per i boschi. Spesso il padre le diceva:'Figlia, un genero mi devi, mi devi dei nipoti'. Ma lei si aggrappava al collo del genitore e lo supplicava. 'Concedimi, ti prego, di godere di una perpetua verginità. A Diana, suo padre l'ha concesso'.
Ferito dal dardo d'oro, Apollo si gettò, ardendo di passione, all'inseguimento della ninfa che, raggiunta da quello di piombo, fuggiva per i boschi temendo di perdere la verginità."
Alfredo Cattabiani: Florario - Miti, leggende e simboli di fiori e piante
Mondadori, Milano - 1998
pag. 161
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