"Il fronte si era spostato tanto che anche i treni si erano fermati, i soldati tedeschi feriti si incamminavano attraverso la cittadina da soli, a piedi, quelli che non potevano camminare venivano trasportati sulle barelle, poi si fermavano al traghetto nel primo paesino sul corso dell'Elba, pregavano il traghettatore di traghettarli, stavano lì malridotti, dominava il colore bianco del gesso, sembravano calchi di arte moderna, sembravano resti di quando si toglie dal calco l'involucro di gesso, dunque sulla riva verde di erba fresca e di ranuncoli gialli c'erano gambe e braccia ferite e clavicole rotte e teste fasciate, si frugavano nelle tasche e stavano lì in piedi, tendevano le mani offrendo soldi e catenine e orologi, e il traghettatore si grattava dietro le orecchie, alla fine però, i tedeschi feriti li traghettava, a gruppi, i soldati feriti avevano l'impressione che di là, dall'altra parte del fiume, ci sarebbero stati ancora i loro eserciti in fuga, che avrebbero avuto ancora una possibilità di arrivare a casa, ma il traghettatore sapeva che là c'erano i partigiani, che aspettavano nelle tagliate e nei canali e nei fossati e nelle cunette con le mitragliatrici e i fucili, e che per loro ormai era finita, amen, e nonostante ciò li traghettava, perché anche se non amava i tedeschi e non poteva amarli, quando vedeva la speranza nei loro occhi, quel momento di felicità, di possibilità di salvarsi, di essere felici, una volta arrivati con le fasce e con i gessi lucenti sull'altra sponda...perché non procurare loro un poco di quella gioia? Proprio come si fa con i condannati a morte, quando l'ultima notte si esaudiscono i loro eventuali ultimi desideri. E i tedeschi misero dei fazzoletti bianchi su dei piccoli pali e si avviarono in marcia come andando verso la terra promessa."
e/o, Roma - 2009
traduzione di Annalisa Cosentino
pag. 111
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