venerdì 29 gennaio 2010

geremiade materna

"Sua madre gli telefonava tutti i giorni. Lei era sola, lui sapeva che cosa significava questo? Le faceva male la schiena, aveva le gambe gonfie. La gente le chiedeva del figlio e lei doveva dire che faceva l'operaio in fabbrica. Breavman posava il telefono sul letto e la lasciava parlare. Non aveva la forza o la capacità di consolarla. Restava seduto vicino al ricevitore, senza riuscire a parlare o a pensare, consapevole solo del monotono stridore della sua voce. 'Oggi mi sono guardata allo specchio e non mi sono riconosciuta: rughe di esasperazione, rughe per le notti trascorse a pensare a mio figlio, è questo che mi merito, quindici anni insieme a un uomo malato, un figlio a cui non importa se la madre se ne sta lì come un sasso, come un cane, una madre, una madre sola che debba starsene lì come un sasso, una prostituta non sopporterebbe da un figlio quello che sopporto io, che cos'ho io, mangio forse cioccolato tutto il giorno, ho forse dei brillanti per tutto quello che ho dato via, quindici anni, ho forse mai chiesto qualcosa per me, due gambe rotte dalla Russia, le caviglie gonfie che hanno stupito il medico, ma mio figlio è troppo occupato per sentire la verità, notte dopo notte, me ne sto distesa davanti alla tv, a qualcuno importa quello che faccio, ero una persona tanto felice, ero una bellezza, adesso sono brutta, la gente per strada non mi riconosce, ho dato la mia vita e per che cosa, sono stata buona con tutti, una madre, si ha una madre una volta sola nella vita, viviamo forse per sempre, una madre è una cosa fragile, la tua migliore amica, in tutto il mondo c'è forse qualcun altro cui importi quello che ti succede, puoi cascare per strada e la gente ti passa vicino, e io me ne sto lì come un sasso, in tutto il mondo la gente corre a trovare la madre, ma per mio figlio questo non ha importanza, lui può trovarsi un'altra madre, abbiamo una sola vita, è tutto un sogno, un caso...' E quando aveva finito, lui diceva: 'Spero che tu ti senta meglio, mamma.' E arrivederci."


Leonard Cohen: Il gioco preferito
Fazi editore, Roma - 2002
traduzione di Chiara Vatteroni
pag. 137

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