venerdì 9 luglio 2010

ho visto cose che neanche voi immortali...

"Attorno alla grotta cresceva una selva rigogliosa: c'erano l'ontano e il pioppo e il cipresso odoroso. Là avevano i loro nidi uccelli dalle lunghe ali, gufi e sparvieri e cornacchie marine loquaci, che amano vivere lungo le rive del mare. E qui si stendeva vigorosa con i suoi tralci intorno alla grotta profonda la vite domestica: era tutta carica di grappoli. Quattro fontane scorrevano con acqua chiara in fila, vicine l'una all'altra, e andavano in direzioni diverse. E all'ingiro fiorivano morbidi prati di viole e di prezzemolo.

Era uno spettacolo che anche un immortale, a giungere qui, avrebbe guardato con meraviglia e con viva gioia."

Omero: Odissea
Garzanti editore, Milano - 1981
traduzione di Giuseppe Tonna
introduzione di Fausto Codino
pagg. 63-64

catalogazione: stamattina sono state le gatte a scegliere per me: hanno fatto cadere questo volume da chissà quale alto ripiano...
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2 commenti:

  1. Bella scelta!

    Ti segnalo un mio post su un altro libro di questo stesso giovane autore: http://cheleggo.blogspot.com/2011/05/iliade-omero.html

    Stefano

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  2. Passo da un tuo blog all'altro. E' divertente e interessante.
    Ho tradotto e ritradotto questo libro dai tempi del liceo e non smette mai di sorprendermi. E vuoi sapere qual è la parte più bella e più poetica dell'odissea? Questo (Libro XVII, vv.290-327):

    "Così essi tali parole fra loro dicevano:
    e un cane, sdraiato là, rizzò muso e orecchie,
    Argo, il cane del costante Odisseo, che un giorno lo nutrì di suo mano (ma non doveva goderne), prima che per Ilio sacra
    partisse; e in passato lo conducevano i giovani
    a caccia di capre selvatiche, di cervi, di lepri; ma ora giaceva là, trascurato, partito il padrone, sul molto letame di muli e buoi, che davanti alle porte ammucchiavano, perché poi lo portassero i servi a concimare il grande terreno d’Odisseo; là giaceva il cane Argo, pieno di zecche.

    E allora, come sentì vicino Odisseo, mosse la coda, abbassò le due orecchie, ma non poté correre incontro al padrone.
    E il padrone, voltandosi, si terse una lacrima, facilmente sfuggendo a Eumeo; e subito con parole chiedeva: “Eumeo, che meraviglia quel cane là sul letame! Bello di corpo, ma non posso capire se fu anche rapido a correre con questa bellezza, oppure se fu soltanto come i cani da mensa dei principi, per splendidezza i padroni li allevano”.

    E tu rispondendogli, Eumeo porcaio, dicevi: “Purtroppo è il cane d’un uomo morto lontano. Se per bellezza e vigore fosse rimasto come partendo per Troia lo lasciava Odisseo, t’incanteresti a vederne la snellezza e la forza.

    Non gli sfuggiva, anche nel cupo di folta boscaglia, qualunque animale vedesse, era bravissimo all’usta. Ora è malconcio, sfinito: il suo padrone è morto lontano dalla patria e le ancelle, infingarde, non se ne curano. Perché i servi, quando i padroni non li governano, non hanno voglia di far le cose a dovere; metà del valore d’un uomo distrugge il tonante Zeus, allorché schiavo giorno lo afferra”.

    Così detto, entrò nella comoda casa, diritto andò per la sala fra i nobili pretendenti.
    E Argo la Moira di nera morte afferrò appena rivisto Odisseo, dopo vent’anni."

    Ti suggerisco di dare un occhio anche a l'Iliade, che è altrettanto un capolavoro. Credo che la letteratura sia iniziata e finita con Omero. Dopo di lui, non c'era nient'altro da inventare, se non forse "il flusso di coscienza" dell'Ulisse di Joyce, che tuttavia è già presente in questo brano, se ci fai caso.

    A presto

    Gianluca

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