“Il lutto sposta le pietre ammucchiate dai bambini e le dispone intorno alla tomba. Il silenzio degli sguardi impietriti getta terra grigia sulla terra nera smossa dalla vanga del becchino. Di ritorno a casa il vuoto ci soffoca. Come se partissimo per un viaggio, chiudiamo le imposte e le porte. La casa è stata sigillata dall’assenza irrimediabile. Non esiste più. Non ci tornerò mai. Né andrò sulla sua tomba. Non è mia madre quella sottoterra. Mia madre è qui, la sento ridere e pregare, insiste perché si apparecchi la tavola, perché mangiamo ciò che lei ha impiegato ore a preparare, è in piedi, felice di vederci tutti riuniti intorno alle nostre pietanze preferite. Aspetta un complimento. Noi trangugiamo tutto con gioia e non le diciamo niente. Allora lei dice: i piatti sono vuoti, è la prova che quello che vi ho preparato vi è piaciuto. Mio fratello maggiore le dice: che Dio ti conceda la salute e ti conservi per noi, eterna, presente e felice del nostro amore. E noi diciamo sorridendo: Amen”.
Tahar Ben Jelloun: Mia madre, la mia bambina
Giulio Einaudi editore, Torino - 2006
traduzione di Margherita Botto
excipit
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